Lodi, Cremona, Milano, Lecco, Sorisole appena fuori Bergamo.
Tra la primavera e l’estate del 2019 abbiamo percorso parti della Lombardia per conoscere ragazze e ragazzi minori stranieri non accompagnati (MSNA) nelle comunità dove vivono e farci raccontare com’è la vita in Italia dal loro punto di vista.
In ogni comunità siamo andati almeno due volte a conoscere i gruppi e fare domande, per non essere troppo incalzanti nei confronti di ragazzi e ragazze e concederci il tempo necessario a costruire una minima relazione.
Ci siamo mossi sempre in due, coppie di ricercatori e ricercatrici di Codici con l’ausilio di fogli di varie dimensioni, fotografie ritagliate da giornali e riviste, planisferi e mappe d’Italia, pennarelli, bollini colorati, colla, forbici e scotch.
Sono gli strumenti che ci aiutano a lavorare con i nostri interlocutori, ad avviare conversazioni con chi sa poco la lingua, ad aprire squarci sui percorsi che li hanno portati ad essere con noi, in quel preciso momento, in quel preciso luogo della Lombardia.
Abbiamo deciso nell’équipe di lavoro, preparando questi incontri, di concentrarci sull’esperienza italiana di chi andremo a conoscere, di focalizzarci sul percorso da quando hanno messo piede sul territorio italiano.
Non vogliamo chiedere del viaggio, per non correre rischi, per non aprire ferite poco o per nulla rimarginate.
In realtà spesso il viaggio per l’Italia compare lo stesso, affiora da solo e ci parla di situazioni completamente diverse l’una dall’altra, di ragazzini che hanno attraversato deserti in motorino, di soste forzate in Libia, di reclusioni durate anni e di fughe, di barconi nel Mediterraneo, di ragazze vittime di tratta, di ragazzi albanesi arrivati in aereo in due ore in qualche aeroporto come fossero turisti.
I punti di partenza sono evidentemente molto differenti tra loro, ci sono storie che non possono essere raccontate, coperte da un oblio forzato e altre disarmanti nella loro semplicità, ci sono dolori strazianti e perdite, e a volte l’ingenuità di chi in due ore ha ribaltato la propria esistenza.
La prima parte dunque non vogliamo indagarla e quando emerge la accogliamo con pudore, estrema accortezza, con tutta la delicatezza di cui siamo capaci.
Ora invece che le ragazze e i ragazzi sono qui con noi ci focalizziamo sull’accoglienza che hanno ricevuto fin dal primo momento in cui sono riusciti a raggiungere l’Italia, sulle informazioni di cui disponevano al loro arrivo, sui ‘piani’ che avevano, se pensavano di essere in transito, di passaggio verso altri luoghi o avevano in programma di fermarsi.
Le storie che raccogliamo in un intreccio di racconti individuali e di narrazioni collettive le fissiamo con dei bollini colorati sulle mappe d’Italia che abbiamo portato.
Ogni mappa rende evidente come ci siano differenze abissali tra le ragazze e i ragazzi che arrivano e che ogni successione di bollini dipenda da un insieme difficilmente governabile di fattori.
C’è chi ha girato senza sosta nello spazio di pochissimi mesi, transitando da comunità, stazioni, porti e chi ha preso autobus con cui ha attraversato l’intera penisola.
C’è chi è passato dall’aeroporto alla comunità e dell’Italia che presentiamo sulla carta non conosce nulla, non sa della sua forma a stivale, non sa delle isole, della divisione tra sud, centro e nord.
C’è chi ha viaggiato nel nostro paese per un regolare trasferimento da un luogo di accoglienza ad un altro e c’è chi ha deciso di scappare da posti poco sicuri, poco affidabili, alla ricerca di luoghi migliori, più accoglienti.
C’è chi aveva un piano e chi ha seguito l’istinto, chi ignorava completamente l’esistenza dell’Italia e chi c’è andato apposta.
C’è chi ha dormito in hotel, chi in centri di accoglienza per adulti pur essendo minorenne, chi ha frequentato i dormitori pubblici e chi ha dormito in stazione prima di prendere un treno.
Chi ha seguito regolari corsi di italiano per neo arrivati, chi la scuola non l’ha mai vista, chi aveva creato legami che ha dovuto recidere e chi cercava di raggiungere dei parenti.
Nella diversità di queste tracce, dei percorsi segnati dai bollini, una cosa accomuna i ragazzi e le ragazze che incontriamo, una sorta di regola non scritta: chiamare poco a casa e dire solo cose belle, per non far preoccupare chi è dall’altro capo del telefono.
Alcuni di questi ragazzi e di queste ragazze li incontreremo di nuovo nel corso dell’autunno, in tre giorni trascorsi insieme in un fine settimana residenziale di approfondimento, di raccolta di altre storie e di pensieri, di laboratori artistici ed esplorazioni di Milano.
Alcune e alcuni di loro, invece, dopo i primi incontri nelle comunità, non li rivedremo più.
Restano i racconti, la ricerca di una lingua comune, gli sguardi a volte diffidenti e a volte di apertura totale, restano le facce impegnatissime a ritagliare foto, a comporre piccoli collages, le merende consumate insieme.
E restano i bollini colorati su un’Italia grigia a definire le tappe di un percorso tortuoso verso un’ipotesi di futuro.