Capitolo 3
Una foto da consegnare: i nonni di Fjorelo
“Buongiorno ragazzi, mi sono svegliato alle 6, faceva freddo. Siamo felici, soprattutto i nonni, che hanno tutti i nipoti in casa, si sono alzati all’alba per stare con noi. Mia madre mi abbraccia mentre gira per la casa. E mio nonno racconta ai vicini di voi, è contento di avervi conosciuto. Che emozione davanti al portone di casa…mi aspettavano sulla soglia, non respiravo per come stringevano forte. Ci siamo seduti, a chiacchierare. Ho chiesto di tutto, anche delle cose che avevo lasciato quando sono partito, e ho raccontato che in Italia studio. E finalmente sono arrivati i miei cibi preferiti, ho mangiato veloce”.
Denis affida a un messaggio vocale il racconto del suo ritorno a casa, racconta del cane Balo, che non l’ha riconosciuto, dell’albero che ama di più del giardino del nonno. Si sente che è felice.
Nello stesso momento, a Cërrik, una cittadina nei pressi di Elbasan, ci sono altri nonni che aspettano. Sono la famiglia di Fjorelo, un ragazzo che dall’Albania è arrivato in Italia a 15 anni, da solo.
“Non andavo benissimo a scuola, ho deciso di partire, volevo dare un senso alla mia vita. Ho parlato con la mia famiglia, gli ho detto che avevo deciso, ma non volevano, dicevano che ero troppo piccolo. Son partito lo stesso con un amico, minorenne anche lui, da Durazzo, in nave, fino a Bari e là ho preso il pullman per Milano. Ho pagato qualcuno, come fanno tutti, per non avere problemi” – racconta Fjorelo – “Una ragazza albanese mi ha aiutato a Milano, mi sono arrangiato, e mi sono presentato a casa di alcuni amici albanesi che erano arrivati tre mesi prima di me. Ed è cominciata così la mia nuova vita in Italia, ho studiato la lingua, mi sono iscritto alla terza media, i professori mi aiutano molto. La prima volta senza la famiglia non è facile, ma io non sono timido, ho tenuto duro all’inizio. Anche se, qualche volta, da solo, a letto, i ricordi tornano e ti senti solo. E piangevo, stringendo il cuscino, senza farmi vedere da nessuno, perché non puoi apparire debole. Ricordavo a me stesso il mio progetto e mi facevo forza”.
Cërrik ruota attorno al suo animato mercato: venditori, acquirenti, merci. Una polifonia di voci e di colori, un grande passeggio e una piazza austera, molto socialista. In passato a Cërrik la vita ruotava attorno alla raffineria, entrata in funzione nel 1956 e che, nel 1961, arrivava a lavorare 1500 tonnellate di greggio in 24 ore. Oli lubrificanti per motori e parti meccaniche, kerosene per aerei, sapone di naftalina e acido naftalico. La raffineria era la vita di Cërrik, dava lavoro a quasi tutti i residenti, tra impianto e indotto. Oggi di tutto quello non resta che il ricordo, dopo le privatizzazioni degli anni Novanta seguite al crollo del regime albanese l’impianto è stato prima smembrato, poi chiuso. Oggi Cërrik è una delle cittadine con il più alto tasso di disoccupazione del paese.
NELLE FOTO: La cittadina di Cërrik
Drita e Nail sono raggianti, aspettano questa visita con emozione. Luca Meola, il fotografo del gruppo, che ha incontrato Fjorelo prima della partenza, ha scattato un ritratto del nipote lontano. Lo portiamo in dono, come ambasciatori del ricordo.
Drita e Nail sono i nonni materni di Fjorelo, la nonna ci mostra subito il divano letto dove ha sempre dormito lui, il nipote lontano.
La casa è abitata dalle assenze: i figli, i nipoti, tutti lontani. Restano le loro foto, a cui oggi si aggiungerà il ritratto di Fjorelo, e i giocattoli di varie generazioni, come a conservare per sempre un periodo felice e per riempire il vuoto che lasciano le partenze.
La telefonata è uno scambio senza sosta, non si prende mai fiato. Fjorelo, dall’Italia, ride e si raccomanda con Xheva di raccontare alla nonna solo cose belle. Nonna Drita capisce tutto, e lo incalza di domande, ma senza smettere un attimo di sorridere luminosa. Nonno Naim tenta di mantenere un contengo, ma non ci riesce granché. Le risate e le voci riempiono la casa.
“La vostra visita è una gioia immensa, vedere Fjorelo e questa foto, è così bello. La sua partenza, per noi, è stata molto difficile. Stavo male, gli urlavo dietro per convincerlo a non partire. Non immaginavo la mia vita senza di lui. La mamma è lontana, è cresciuto qui con noi”, racconta Drita, senza fermarsi un attimo, mentre rende materiale l’idea dell’ospitalità albanese cucinando, offrendo tutto quello che ha in casa, stringendo mani e dispensando abbracci. “Alla fine, però, me ne sono fatta una ragione. Qui per i giovani non ci sono possibilità, noi abbiamo avuto la nostra vita, loro hanno diritto di farsi la propria. Con le nostre misere pensioni non avremmo potuto offrirgli niente”.
Le pensioni medie in Albania, nonostante un un aumento del 3,8% negli ultimi anni, restano le più povere della regione.
Il valore, in generale, arriva a circa 12mila leke – secondo i dati ufficiali dell’Istituto di Previdenza sociale albanese – tra i 15mila leke dei centri urbani e i circa 8mila leke delle zone rurali. Più o meno 100 euro al mese, il valore più basso anche rispetto a paesi limitrofi come la Macedonia del Nord o il Kosovo.
Intanto alcuni vicini hanno notato il trambusto in casa di Naim e Drita, si affacciano, chiedono notizie di Fjorelo. Drita racconta che ormai, nel caseggiato, non ci sono più giovani. Son partiti tutti.
“Avevo paura che si perdesse, che cedesse a cattive compagnie. Meglio così, anche se la lontananza è dolorosa. Sapevamo di altri ragazzi partiti molto giovani, però non avevamo idea di come funzionasse l’accoglienza in Italia. Solo quando Fjorelo si è sistemato in comunità ci ha chiamati e ci ha raccontato tutto e ci siamo tranquillizzati, perché sapevamo che non era solo, che c’erano anche altri ragazzi della zona e che non era in mezzo alla strada, in pericolo”, racconta Drita.
Anche Naim era partito, in passato. “Sono stato in Grecia, lavoravo duro, nei campi. Ero convinto che sarebbe bastato il mio sacrificio per regalare un futuro alla mia famiglia, ma non è andata così. Prima son partiti i figli, poi i nipoti. E noi restiamo qua, ad aspettarli, ad aspettare notizie, cercando di non perdere neanche un momento delle loro vite, ma quando sei fuori non è facile. Speravo che per loro ci potesse essere una scelta, una possibilità. Ma non è andata così”.
Poco lontano da casa di Drita e Naim c’è la casa di Marsel, anche lui partito minorenne, uno degli amici sui quali ora in Italia Fjorelo può contare e che tranquillizzano nonna Drita.
In casa c’è suo fratello, Markel, poco più grande di lui. Markel ci accoglie con la sua chitarra, compone canzoni, ha un canale YouTube e un profilo Instagram molto attivi.
“Siamo una famiglia di musicisti, da sempre, mio padre e suo padre prima di lui hanno sempre suonato a matrimoni e funerali, ci guadagniamo la vita così, ma è dura tirare avanti. Mia madre è malata, le spese sono molte”, racconta Markel, prima di iniziare a cantare struggenti ballate d’amore. “Io ho deciso di restare, ma capisco Marsel e la sua scelta. Lui voleva una vita differente, io sto bene qui: in fondo abbiamo ragione tutti e due. Io ho la mia musica, le canzoni che scrivo, amo raccontare l’amore e sfonderò con la mia musica. È solo questione di tempo. Ho questo sogno e lo porto avanti, come mio fratello fa con il suo, anche se mi manca molto. L’importante è non arrendersi mai”.
È tempo di andare, c’è un’altra foto da consegnare.
Sono stato in Grecia, lavoravo duro, nei campi. Ero convinto che sarebbe bastato il mio sacrificio per regalare un futuro alla mia famiglia, ma non è andata così